Risarcibilità del “danno patrimoniale” a seguito della morte del congiunto.

La Suprema Corte è tornata a confrontarsi con il tema della risarcibilità dei danni patrimoniali che i superstiti possono soffrire a seguito del prematuro decesso del proprio congiunto, causato dal fatto illecito altrui, affermando che la prova del danno può essere raggiunta per presunzioni (cfr. Cassazione civile, Sez. III, 6 dicembre 2018, n. 31549).

Viene tradizionalmente riconosciuta la lesione di una posizione di interesse considerata giuridicamente rilevante quando il danneggiato, sia il coniuge o il componente dello stretto nucleo familiare, subisca la perdita di un’entrata che ragionevolmente si sarebbe potuta presumere come duraturo vantaggio economico proveniente dall’attività lavorativa del congiunto, deceduto per fatto illecito altrui.

Detta conseguenza dannosa si inquadra, pertanto, nell’alveo del c.d. “lucro cessante” (atteso che la scomparsa prematura del congiunto, a seguito di fatto illecito altrui, proiettata nel futuro, determina una presumibile perdita economica per i superstiti, determinabile nelle risorse reddituali che il defunto avrebbe loro destinato).

Ma se l’aspettativa di ritrarre un vantaggio patrimoniale può considerarsi in qualche modo scontata se la vittima del fatto illecito altrui è persona da cui il prossimo congiunto superstite può ragionevolmente attendere sostegno, in ragione non solo dei vincoli di solidarietà familiare ma anche della sua non autosufficienza economica (come, ad esempio, nel caso in cui deceda il padre ed i suoi superstiti siano i figli minori economicamente non autosufficienti), cosa succede se i superstiti sono invece soggetti maggiorenni, titolari di adeguate fonti di reddito, come ad esempio nel caso dei genitori sopravvissuti alla morte del figlio già economicamente autosufficiente o nel del fratello sopravvissuto alla morte del fratello adulto?

Si veda un interessante pronuncia su questo tema del Tribunale civile di Rovigo (10), che ha valorizzato la circostanza che gli attori richiedenti (padre, madre e fratello), tutti rappresentati dall’avvocato Gianluca Ballo, benché economicamente autosufficienti e titolari di redditi adeguati, vantassero il diritto legale agli alimenti verso l’ucciso trentenne e che la stessa vittima fosse tenuta, perdurando la convivenza nella famiglia originaria, alla contribuzione in relazione alle proprie sostanze ed al proprio reddito.

Il Tribunale, pertanto, applicando gli indici di determinazione suggeriti dal Supremo Collegio (la giovane età del defunto in rapporto alla presumibile aspettativa di vita dei richiedenti, il reddito lavorativo netto percepito dal defunto, i prevedibili futuri incrementi di esso e la detrazione della parte che il percipiente avrebbe riservato a sé), ha riconosciuto agli attori, difesi dall’avvocato Gianluca Ballo, non solo il risarcimento del “danno non patrimoniale da morte”, ma anche il risarcimento del “danno patrimoniale” rappresentato dal “lucro cessante” conseguente alla perdita del prossimo congiunto, che è stato liquidato in via equitativa nella somma complessiva di euro 100.000,00.

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