Rapporti sessuali e reato di molestia per mezzo del telefono – elemento soggettivo:

La Suprema Corte, con la recentissima pronuncia n. 34821 del 24 maggio 2022, è tornata sul tema di interesse ed ha ribadito come l’elemento materiale del reato di molestia sia costituito dall’interferenza non accettata che altera fastidiosamente od in modo inopportuno, immediato o mediato, lo stato psichico di una persona.

L’atto di interferenza, per essere molesto, deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma deve essere anche ispirato da biasimevole (ossia riprovevole motivo) o rivestire il carattere della petulanza, intesa quale modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente.

Potrebbe quindi il suddetto reato essere integrato per mezzo del telefono cellulare, mediante l’invio di sms e messaggi WhatsApp?

La risposta, secondo la Suprema Corte, è sicuramente affermativa (cfr.  sentenza n. 37974 del 18 marzo 2021), nel senso che il reato sussiste in ragione del carattere invasivo che anche la comunicazione non vocale possiede, rappresentato dalla percezione immediata da parte del destinatario dell’avvertimento acustico che indica l’arrivo del messaggio, ma anche dalla percezione immediata e diretta del suo contenuto o di parte di esso, attraverso l’anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco, realizzandosi in tal modo in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente.

Che succede però se, in caso di iniziale relazione di tipo sentimentale fra i protagonisti dell’ipotetica vicenda, la presunta vittima risponda alle sollecitazioni del presunto molestatore, scambiando con lui messaggi ed accettando, seppure discontinuamente, di incontrarlo, anche per incontri di natura esclusivamente sessuale?

E’ necessaria quindi una disamina dell’elemento soggettivo del reato, che consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo.

E’ evidente pertanto che, in tutti i casi in cui la vittima non manifesti in modo chiaro la volontà di interrompere i rapporti con chi la contatta, assecondando quest’ultimo (per esempio rispondendo ai messaggi, contattando la persona che li scrive od addirittura incontrandola personalmente per consumare rapporti sessuali), non potrà sicuramente affermarsi che il presunto molestatore potesse essersi rappresentato od essere consapevole di esercitare un’inopportuna interferenza nella vita privata altrui.

Si veda l’allegata sentenza del Tribunale penale Monocratico di Rovigo (8) che ha assolto l’imputato, difeso dall’avvocato Gianluca Ballo, ritenendo non provato l’elemento soggettivo, atteso che la destinataria dei messaggi/ presunta vittima aveva in verità assecondato il presunto  molestatore, rispondendo ai suoi messaggi, contattandolo ed incontrandolo personalmente, sebbene in modo discontinuo, per consumare rapporti sessuali.

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