Il danno da “perdita di chances di sopravvivenza”

Il principio di imputazione della responsabilità per colpa medica trova applicazione, nel processo civile, allorquando venga dimostrato in giudizio che una determinata condotta del professionista è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno lamentato dal paziente.

Nel caso in cui il danno lamentato sia rappresentato dalla morte del paziente, la prova della responsabilità per colpa medica sarà raggiunta, nel processo civile, se si dimostrerà che – alla luce del c.d. giudizio controfattuale ex post (operazione astratta di sostituzione ideale del comportamento negligente, imprudente od imperito del sanitario con quello che sarebbe stato il comportamento corretto) – l’evento morte non si sarebbe verificato.

Ma cosa accade se – in presenza di un conclamato inadempimento delle obbligazioni del medico (benché in assenza del raggiungimento della prova che il comportamento adempiente avrebbe “più probabilmente che non” scongiurato l’evento morte) – sia acclarato che il paziente abbia comunque perso delle apprezzabili chances di sopravvivenza che statisticamente avrebbe avuto, tenuto conto della sua particolare situazione concreta?

Orbene, la giurisprudenza tende a considerare la “perdita di chances” come un’entità patrimoniale distinta rispetto al diritto alla salute e, da ciò, deriva la sua autonoma valutazione a titolo risarcitorio, da determinarsi non già in relazione al mancato conseguimento del risultato sperato bensì alla mera possibilità di raggiungerlo (cfr. sul tema Cassazione civile, Sez. I, 8 novembre 2011, n. 23240).

Nel risarcimento del danno da “perdita di chances” si ristora, quindi, non il mancato ottenimento del risultato sperato (ovvero, nell’esempio di cui sopra, la guarigione del paziente in virtù dell’intervento corretto, tempestivo ed adeguato del medico), bensì la perdita della possibilità di conseguirlo.

Viene quindi considerata alla stregua di un autonomo bene, chiaramente distinto dal diritto alla salute, la possibilità di guarigione frustrata dalla condotta omissiva dei sanitari (cfr. Cassazione civile, Sez. III, 16 ottobre 2017, n. 21619).

Appurato quindi che la perdita della possibilità (consistente) di conseguire il risultato utile, del quale risulti provata in giudizio la ricorrenza, configura un danno concreto ed attuale, il ragionamento teso ad indagare il rapporto tra la situazione fattuale e la perdita del risultato utile – in applicazione della regola del c.d. “più probabile che non” andrà condotto in termini probabilistici, a prescindere dalla idoneità (maggiore o minore) della “chance” a realizzare il risultato sperato (cfr. Cassazione civile, 18 settembre 2008, n. 23846).

Ed infatti, secondo un orientamento oramai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, la prova del danno – evento (e, dunque, della perdita di “chance”, intesa quale “perdita della possibilità di conseguire un risultato utile”), non richiede che si raggiungano determinate percentuali di verificazione dell’occasione perduta, essendo sufficiente che si dimostri la lesione, in sé, della “chance”, anche:“…in presenza di margini statistico – probabilistici inferiori alla soglia del 50 %…” (cfr. Cassazione civile, 27 marzo 2014, n. 7195).

Ritenuta acclarata, secondo quanto sopra esposto, la risarcibilità di tale voce di danno, per la quantificazione di essa occorrerà necessariamente che il giudice proceda in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. (cfr. Cassazione civile, n. 20808/2010, n. 23846/2008 e n. 13241/2006).

Su questo tema si legga una pronuncia del Tribunale civile di Rovigo (17), che ha riconosciuto ai danneggiati, figli della paziente defunta – rappresentati dall’avvocato Gianluca Ballo – il risarcimento “iure successionis” del danno da “perdita di chances” di aspettativa di vita patito dalla madre, liquidando equitativamente – per tale titolo – la somma di 30.000,00 euro.

Il Tribunale di Rovigo, accogliendo la prospettazione dell’avvocato Gianluca Ballo, ha dichiarato infatti che il danno patito dagli attori, pur non risultando legato all’evento morte (o all’evento lesione del diritto alla salute), era comunque da ritenere concretamente apprezzabile, poiché sicuramente lesivo della mera possibilità ad una “chance” di vita migliore prima dell’exitus (o di più lunga aspettativa di vita) della paziente deceduta.

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