Colpa medica – responsabilità dell’odontoiatra e della struttura sanitaria
La vicenda riguarda il caso di un paziente che si era rivolto ad una struttura sanitaria che, tramite professionisti a ciò deputati, praticava prestazioni odontoiatriche c.d. “low cost” (risultate nella fattispecie gravemente inadeguate sotto molteplici profili).
Il paziente danneggiato si rivolgeva quindi all’avvocato Gianluca Ballo, che promuoveva causa civile sia alla struttura sanitaria che all’odontoiatra che – nella sua qualità di medico operante nella struttura – aveva materialmente eseguito le prestazioni di implantologia; i convenuti si costituivano in giudizio dispiegando separate difese e l’odontoiatra, in particolare, sosteneva che la responsabilità della cattiva riuscita della prestazione sanitaria, se effettivamente provata, dovesse essere imputata solo alla struttura sanitaria, che aveva redatto il “piano di cura” del paziente, liberamente accettato da quest’ultimo, quasi come se il medico operante avesse agito – come talvolta può accadere nel contratto di subappalto – quale “nudus minister” della struttura sanitaria (eseguendo, cioè, ordini terapeutici impartiti da altri).
Era evidente che tale prospettazione difensiva non tenesse in alcuna considerazione come, nell’adempimento delle obbligazioni, la diligenza assuma imprescindibile e decisivo rilievo quale criterio di determinazione del modello cui il debitore è tenuto ad improntare la propria condotta: in particolare, a tal fine, la diligenza va correlata alla qualità del soggetto (e valutata secondo criteri di normalità da apprezzarsi in relazione alle condizioni del medesimo, avuto riguardo alla relativa qualificazione).
Ciascun specifico settore di competenza (in cui rientra ciascuna attività esercitata) richiede, infatti, la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell’attività necessaria per l’esecuzione della professione espletata: in proposito la Corte di Cassazione ha già avuto modo, più volte, di porre in rilievo che il debitore è di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata al modello del buon professionista (secondo, cioè, una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto, sicché deve escludersi che il debitore privo delle necessarie cognizioni tecniche sia esentato dall’adempiere l’obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell’attività esercitata), mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore professionale (per il riferimento alla necessità di adeguare la valutazione alla stregua del dovere di diligenza particolarmente qualificato, inerente allo svolgimento dell’attività del professionista – cfr. Cassazione civile, 23 aprile 2004, n. 19133 e Cassazione civile, 4 marzo 2004, n. 4400).
A ciò consegue, sosteneva l’avvocato Gianluca Ballo, che la diligenza deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, comma 2 °, c.c.) e che al professionista (e, a maggior ragione, al medico specialista) è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego di cognizioni tecniche adeguate al tipo di attività da espletare.
A tale stregua, il medico (e, a maggior ragione, lo specialista) deve, da un lato, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all’ausilio di un consulto (se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo) e, da altro canto, deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento e, laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, fino a consigliargli, se manca l’urgenza di intervenire, una diversa terapia od il ricovero in altra idonea struttura (cfr. Cassazione civile, 13 aprile 2007, n. 8826; Cassazione civile 5 luglio 2004, n. 12273, Cassazione civile 21 luglio 2003, n. 11316 e Cassazione civile, 16 maggio 2000, n. 6318).
Le obbligazioni professionali del medico (a fortiori se specialista) sono allora caratterizzate dalla prestazione di attività particolarmente qualificata da parte di soggetto dotato di specifica abilità tecnica, in cui il paziente ripone affidamento nel decidere di sottoporsi all’intervento, al fine del raggiungimento del risultato perseguito o sperato.
Questo il motivo per cui, da un lato, non ha senso affermare che il medico specialista odontoiatra non sarebbe responsabile dell’insuccesso della terapia somministrata (egli è infatti il medico, “dominus” dell’ambito tecnico di sua pertinenza) e, dall’altro, che il medico andrebbe esente da responsabilità perché la terapia è stata liberamente accettata dal paziente ed impostata da altri, atteso che l’esecuzione della prestazione consiste proprio nell’applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza e, viceversa, proprie del bagaglio del debitore, specializzato nell’esecuzione di una professione protetta (cfr. Cassazione civile, 6 maggio 2015, n. 8989 e Cassazione civile, 20 ottobre 2014, n. 22222).
Circa gli aspetti relativi alla presunta efficacia “liberatoria” del consenso alle prestazioni praticate, sostenuta anche dalla struttura sanitaria, l’avvocato Gianluca Ballo ribadiva che, nel caso di paziente ricoverato in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria, la responsabilità della stessa per danni cagionati dai medici agli utenti si instaura sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura: in particolare l’adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell’ambito del contratto di prestazione d’opera professionale, con la conseguenza che la struttura sanitaria risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa dai suoi dipendenti od incaricati, alla stregua delle norme di cui agli art. 1176 e 2236 c.c., essendo ravvisabile una responsabilità contrattuale del committente per l’errore commesso dai suoi preposti ex art. 1228 c.c.(ex multis Cassazione civile, 8 maggio 2001, n. 6386).
Il Tribunale di Venezia accoglieva la prospettazione di parte attrice, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianluca Ballo, condannando l’odontoiatra e la struttura sanitaria, in via fra loro solidale, al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal paziente, stimato nella somma capitale di circa 14.500,00 euro, oltre interessi e rivalutazione monetaria (28).
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